Vino
Magazine ottobre 1997
Trimestrale di informazione e di discussione culturale a cura dell'Archeoclub di Roma
FESTE DEL VINO E DELL'ACQUA
11 e 13 ottobre
A distanza di un giorno, una dall’altra, l’11 e il 13 ottobre, due feste, nell’antica Roma, celebravano, praticamente insieme, il vino e l’acqua: due elementi che non sembrano fatti per andare d’accordo, ma che per i nostri lontani predecessori erano perfettamente compatibili. Quella del giorno 11 era la festa dei Meditrinalia, dedicata alla dea delle guarigioni, Meditrina, che non a caso aveva nel suo nome la stessa radice med- di medicina (e medicamentum medicatio, medicus, ecc.). In quel giorno si facevano libagioni con vino vecchio e vino nuovo allo scopo di garantirsi (o per guarire) da mali passati e futuri. Le libagioni erano accompagnate dalla recita di una sorta di giaculatoria o formula magica che, secondo Varrone, suonava: vetus novum vinum bibo, veteri novo morbo medeor, ossia «bevo vino vecchio e vino nuovo e dei mali vecchi e nuovi mi curo». In pratica, si trattava di una terza festa del vino che veniva a trovarsi dopo quella dei vinalia rustica, del 19 agosto, con la quale s’inaugurava il periodo della vendemmia, e prima di quella dei vinalia priora, del 23 aprile, durante la quale si spillava il vino nuovo. Quella del giorno 13 era la festa dei Fontinalia che si celebrava in onore della dea o ninfa delle sorgenti Fons (o anche Fontus), considerata figlia di Giano che tra le sue prerogative aveva anche quella di far sgorgare le acque. Per l’occasione venivano confezionate corone di fiori che si gettavano nelle fontane, mentre con altre si ornavano le vere dei pozzi. Il santuario di Fons si trovava ai piedi dell’Arce capitolina,nel versante settentrionale, appena fuori della Porta, detta perciò Fontinalis, che s'apriva nelle mura repubblicane press'a poco dov'è oggi il Museo del Risorgimento, sul fianco sinistro del Vittoriano: un tempio vi era stato dedicato, nel 231 a.C., dal console Caio Papirio Masone dopo che questi col suo esercito, in Corsica, s'era salvato dalla sete grazie alla fortuita (e «miracolosa») scoperta d'una sorgente. Il fatto che le due feste fossero così singolarmente contigue (a meno che si sia trattato d'una coincidenza, allora davvero «singolare») è forse da spiegare con l'uso - comune presso i popoli antichi - di bere il vino sempre mescolato con acqua (un'usanza la cui perpetuazione è diventata un punto d’onore degli osti moderni!). Essendo infatti le uve mediterranee ricche di un elevato contenuto zuccherino che nel processo di fermentazione portava il tasso alcoolico fino a 16/18 gradi, per rendere il vino bevibile lo si riduceva con l’acqua a una media di 5/6 gradi (senza che per noi sia facile farcà un’idea di come fosse - e quanto gradevole - il «prodotto finito»). Tanto era normale la pratica del l’annacquamento, che il verbo latino miscere, ossia «mescolare», usato per indicare l’operazione, peraltro assai delicata, dell’annacquamento stesso o, più correttamente, del dosaggio dell’acqua nel vino - è diventato in italiano «mescere»: un verbo che noi usiamo però specificamente e solamente per il vino, mentre per l’acqua si usa il piu generico «versare».
Diurnarius