Magazine luglio 1999
Trimestrale di informazione e di discussione culturale a cura dell'Archeoclub di Roma
Fori Imperiali Medioevo e... borghetti moderni
Gli studiosi del medioevo si sono lungamente adoperati - e battuti - per rivendicare piena dignità storica ai cosiddetti "secoli bui" e per dimostrare che quel periodo del nostro passato merita lo stesso rispetto e la medesima considerazione di cui godono i "secoli splendidi" dell'evo antico. Presso il grande pubblico non ci sono riusciti. La loro impresa era del resto ardua. Paragonabile a quella degli etruscologi, vanamente impegnati a convincere la gente che gli Etruschi non arrivarono in Italia dall'Oriente, con gli occhi a mandorla e il sorriso beffardo stampato sulla bocca.
Ma non ci sono riusciti (pienamente) neppure con gli studiosi di altre epoche e con le persone colte in genere. Almeno per quel che riguarda l'altro medioevo e nei confronti della Roma imperiale. Anche in costoro, nonostante tutto - e mentre sembrano convinti (a parole) e in pubblico "correttamente allineati" - rispunta sempre l'idea (e l'intima convinzione) che quei secoli furono davvero di decadenza, di degrado, di ritorno indietro. E, come non capirli, al solo pensare che nella Roma medievale s'era tornati a bere l'acqua dei pozzi e quella del Tevere (come nei primissimi secoli di vita della città ) dopo che per centinaia d'anni i romani della repubblica e dell'impero avevano letteralmente sguazzato nei più che 1000 litri a testa di ottima acqua portati nell'Urbe da ben undici grandi acquedotti (così, tanto per fermarsi a uno solo degli aspetti della vita quotidiana)?
Emblematica della mentalità degli archeologi classici (e del grande pubblico) è stata - e continua ad essere- la vicenda dello scavo dei Fori imperiali.
Si partì, negli anni Ottanta, proclamando l'intenzione di riesumare per intero e di "riunificare" quei Fori, in quanto tali. Magnificati come la più importante area archeologica dell'universo (quella che "tutto il mondo c'invidia") per il ruolo che essa svolse quando era al centro - e il centro - del potere che governava il mondo (almeno quello occidentale). Non certo per il ruolo, pressochè nullo, al quale quella stessa area si ridusse nel medioevo, mentre veniva progressivamente abbandonata, s'impaludava e s'inselvatichiva.
Poi, scavato il Foro di Nerva senza aver trovato nulla (o quasi) dell'età imperiale, si gridò "alla scoperta" di fronte ai magri avanzati di manufatti modestissimi, databili all'VIII-IX secolo della nostra era, per indicare i quali ci si riempì la bocca del termine "Carolingio" (manco si fosse trattato del duomo di Aquisgrana). Ma, proprio quella"scoperta" - della quale nessuno, ovviamente, nega la validità documentaria - non ha fatto che confermare la convinzione diffusa della"decadenza", abissale e impressionante, dell'epoca. Almeno a Roma, almeno nell'area dei Fori imperiali e, anche più specificatamente, in quella del Foro di Nerva. Al posto del magnifico complesso imperiale, s'era formato un tortuoso e malamente acciottolato stradello, più adatto alle capre che agli uomini e, direttamente sui lastroni marmorei dell'antica sontuosa pavimentazione forense (cioè senza alcuna struttura di fondazione) e con materiali di spoglio (tratti dagli antiche monumenti in rovina), erano sorte delle case che solamente il restauro e i parziali rifacimenti hanno reso minimamente "decenti". Se quella non fu decadenza...
Il bello è che, alla risposta - in grande stile - degli scavi, lo scorso mese d'aprile s'è tornati a parlare solo di Fori imperiali. E di un'area"fortemente simbolica" (non certo per le reliquie medievali) da"restituire (?) alla città ". In effetti, così come nello scavo del Foro di Nerva non si può certo al ritrovamento delle "magioni carolingie" ma a quello dell'introvabile Tempio di Giano, nel nuovo megascavo da 15.000 metri quadri "in contemporanea" (un'assurdità per qualsiasi impresa archeologica, seria e corretta), l'intento è quello di "raggiungere la quota archeologica imperiale" e di "rimettere alla luce ancor più della metà della superficie originaria dei Fori" (ma sarebbe più corretto dire delle "piazze" forensi) e di capirne il reciproco rapporto, topografico e monumentale (come più volte è stato detto e scritto dai responsabili dell'operazione). La speranza è quella d'incappare negli avanzi del Tempio di Traiano, non già in quelli della chiesa e del convento di Sant'Urbano. "La ricerca archeologica nelle tre aree forensi è indirizzata soprattutto a conoscere quanto più possibile circa la topografia e l'urbanizzazione dei Fori imperiali", si legge in un comunicato emesso a cura dell'assessorato comunale politiche culturali.
Gira gira, si torna sempre ai fasti di Roma imperiale (giustamente, peraltro). Come ai tempi in cui, tra la fine degli anni Venti e i primissimi anni Trenta, s'andava realizzando, con la sistemazione di quella che allora, non a caso, si chiamò "via dell'Impero", il sogno ottocentesco del recupero integrale dell'antico contesto urbanistico ed edilizio. O almeno dei grandi monumenti che infatti furono, allora, tutti riesumati, restaurati e lasciati in bella vista. Ora, a quanto pare, ci si dovrà accontentare delle cunette di raccolta dell'acqua piovana nel "Foro" della Pace e della buca parzialmente rimasta al posto del basamento della gigantesca statua equestre di Traiano. Ma intanto, abbandonati i velleitari e utopistici propositi che avrebbero condotto al grande "vuoto archeologico" ( che la città odierna non è disposta a sopportare) e nonostante il vaticinio iettatorio di chi insiste a parlare del processo irriversibile di una strada" destinata a morire" (mentre all'assessorato scrivono: "Questa strada riveste un ruolo di particolare importanza da un punto di vista sia di mobilità che turistico"), è proprio il "progetto di via dell'Impero" che è stato riscoperto e riproposto come una novità . Quello, attuato e inaugurato il 28 ottobre 1932, della"passeggiata monumentale": appena ridimensionato, nel senso che sarà ristretta la carreggiata della strada e diminuito il verde intorno, ma col "recupero" del tracciato di via Bonella (sulla scorta di quanto fu già fatto per via Alessandrina) e il drastico alleggerimento del traffico automobilistico che tornerà dunque, più o meno, ai livelli del 1930!
Rimane da vedere cosa si deciderà di conservare alla vista, a prescindere da quello che già stato distrutto dalle ruspe, come le cantine delle case del quartiere "alessandrino" che, dopo tutto il parlare dello scempio fattore nel periodo fascista, non hanno avuto alcun riconoscimento di dignità storica e documentaria. C'è ancora che parla di conserve il palinsesto, ossia la stratificazione degli interventi urbanistici ed edilizi (ma come?) e chi invece pensa (andando dunque "come la storia") di privilegiare il "contesto dominante", che sarebbe a dire, ancora una volta, quello dell'età imperiale. D'altra parte, di fronte al "significato" che possono avere per la storia dell'umanità (unico motivo valido per tenerli in vista) i resti del "centro direzionale" in cui furono lungamente decisi, o quantomeno, trattati, i destini del mondo occidentale, che cosa possono rappresentare (anche soltanto per la storia di Roma) i resti delle povere costruzioni medievali (e rinascimentali); beninteso, una volta registrata, comunque, e con tutte le regole la loro presenza? O questi resti debbono rimanere in vista proprio come testimonianza di "degrado", urbanistico, edilizio, monumentale, sociale, civile?
Ma allora, perchà © non sono state conservate (restaurate, custodite, abbellite, illustrate con pannelli didascalici, riunite all'interno di un miniparco archeologico e fatte oggetto di visite guidate) le baracche dei "borghetti" che alla fine della seconda guerra mondiale s'erano addossate agli acquedotti di quello che era ancora il suburbio di Roma? Non erano, quelle, preziose testimonianze di un'epoca storica, di un nuovo e fortunatamente brevissimo "medioevo"? Non avevano anch'esse dignità di "documento" e sembianza di "monumento"?