Magazine gennaio 1998
Trimestrale di informazione e di discussione culturale a cura dell'Archeoclub di Roma
Quando Cesare fu governatore della Padania
Mentre ricorre l'anniversaria scadenza delle "fatali idi di marzo", ci sembra d'una certa... attualità - e comunque al di fuori d'ogni rituale commemorazione - ricordare che l'illustre vittima di quelle "idi", Giulio Cesare, fu per un decennio governatore di quella che oggi - benchà © impropriamente - s'è presa a chiamare Padania, nell'unico (e breve) periodo in cui essa - o piuttosto l'Italia settentrionale - è esistita come entità definita ed unita: quando, non ancora Italia ma Gallia Cisalpina, essa fu una provincia dell'impero di Roma.
Cesare ne ebbe il governo all'uscita dal consolato, alla fine del 59 a.C. Come di norma, gli spettava il proconsolato in una provincia e grazie all'appoggio di Pompeo e di Crasso (coi quali aveva dato vita al cosiddetto primo triumvirato), sventato il piano del Senato che mirava ad attribuirgli una destinazione del tutto periferica, ottenne il governo della Cisalpina e dell'Illirico (I'Istria e la Dalmazia) e poi anche quello della Gallia Narbonese (la Provenza). L'incarico era eccezionalmente previsto per cinque anni, ma al "vertice" dei triumviri, riunitosi a Lucca nel 56, fu prorogato per altri cinque.
Quando Cesare arrivò nella Cisalpina, questa era una provincia da una ventina d'anni. Era pero più di un secolo che i Romani vi avevano imposto la loro egemonia. Infatti, a parte i Veneti che erano entrati pacificamente nell'alleanza con Roma, i Galli, sconfitti sul campo, vi erano stati costretti già sullo scorcio del III secolo a.C. Ma l'invasione di Annibale, nel 218, aveva riportato la situazione allo status quo, salvo la sopravvivenza delle due colonie di Cremona e Placentia (Piacenza), fondate da Roma proprio nel 218, che durante tutta la guerra resistettero agli attacchi dei Galli e con l'aiuto dei Veneti concorsero a mantenere libere per i Romani le comunicazioni fluviali sul Po.
Vinto Annibale, Roma dovette procedere a una vera e propria"riconquista" costringendo prima le tribù celtiche, tra il 201 e il 194, e poi quelle dei Liguri, che continuarono a combattere fino al 180, alla pace e alla definitiva sottomissione. Iniziava cosi una lenta ma inesorabile opera di romanizzazione, col ripopolamento di Cremona e Piacenza, la fondazione delle nuove colonie di Bonomia (Bologna), Parma, Mutina (Modena) e Aquilela, la costruzione della via Aemilia (in continuazione della Flaminia) da Rimini a Piacenza, e della via Postumia, dal golfo di Genova a quello di Venezia. Il processo venne poi accelerato quando, nell'89 a.C., a tutte le comunità dell'Italia settentrionale venne concesso il "diritto latino" che le equiparava alle vecchie città del Lazio. In quello stesso tempo peraltro, anche in conseguenza del pericolo corso con l'invasione dei Cimbri, per rendere più sicura ed organica l'occupazione, forse ad opera di Silla, i territori dei Veneti, dei Galli e dei Liguri (come tutti gli altri occupati fuori d'Italia) furono organizzati nella forma della provincia alla quale venne dato il nome di Gallia Cisalpina (o Citeriore). Capitale amministrativa dovette essere Cremona dove Cesare, lasciati a Roma uomini fidati che ne sorvegliassero gli avvenimenti, si recò, per prendere possesso del suo incarico, all'inizio dell'anno 58. Venne così il grande momento della Cisalpina che costituì la base di partenza e d'appoggio per la conquista della Gallia Transalpina (o Ulteriore), alla quale Cesare s'accinse approfittando della richiesta d'aiuto avanzata dagli Edui, alleati di Roma, il cui territorio era stato invaso dagli Elvezi e poi dai Germani di Ariovisto. Per il triumviro impaziente d'emulare le gesta del grande Pompeo si trattava dell'occasione propizia per proporsi come colui che avrebbe definitivamente regolato i conti con quel mondo celtico che, ai tempi del sacco di Roma del 390 a.C., per lunghi secoli, era stato per i Romani un autentico incubo.
Impegnato nelle annuali campagne di guerra che lo portarono fino oltre il Reno e al di là della Manica, Cesare rientrava ogni inverno nella Cisalpina per tenervi le regolari sessioni giudiziarie, ma anche per arruolarvi truppe e preparare le nuove imprese.
Finalmente, quando il Senato gli intimò di "rientrare nei ranghi", fu dalla Cisalpina che egli mosse, nel gennaio dell'anno 49, alla testa del suo esercito, per la definitiva conquista del potere, col famoso passaggio del Rubicone che segnava il confine della provincia. Quando poi si fu impadronito dello Stato, Cesare non si dimentico della Cisalpina. Avendone anzi conosciuto direttamente e a fondo le grandi potenzialità e le risorse, anche umane, immaginò di farne la"riserva" dei "quadri" che sempre più numerosi erano necessari per il governo dell'impero; previa concessione della cittadinanza romana ai suoi abitanti.
Ma i pugnali dei congiurati - alle idi di marzo del 44 - non gli consentirono d'attuare il lungimirante proposito. Ci pensarono i suoi successori e in particolare Augusto, dopo la vittoria di Filippi. Cosi, diventati i Cisalpini - oggi si direbbe i Padani - cittadini romani, la loro terra cessò d'essere una provincia per diventare Italia. Ed essi, entrati presto nell'amministrazione imperiale, ne raggiunsero i vertici al tempo di Nerone il quale, diffidando della vecchia oligarchia senatoria, li chiamò a Roma, numerosi, tra i suoi collaboratori più fidati.