ACQUEDOTTO CLAUDIO - ACQUA CLAUDIA

L'acquedotto dell'Acqua Claudia fu iniziato da Caligola nel 38 d.C. e portato a termine da Claudio nel 52 (ma forse già  attivo nel 47), l'ottavo e più importante degli acquedotti di Roma prese il nome dall'imperatore che l'aveva realizzato con una notevole spesa dovuta alla mole dell'impresa, al costo di tecnologie più evolute e all'aumentata percentuale di mano d'opera di lavoratori liberi. Plinio il Vecchio c'informa (Nat. Hist. XXXVI, 122) che esso, insieme a quello dell'Anio Novus, costò la bellezza di 350 milioni di sesterzi, qualcosa come 230 milioni dei nostri attuali euro (450 miliardi di lire).

Le sorgenti principali, indicate coi nomi di "Cerulea" (cosiddetta per la sua trasparenza azzurra) e "Curzia" (Fons Caeruleus e Fons Curtius), fornivano un' acqua assai pregiata, ritenuta inferiore per qualità  solamente alla Marcia. Esse si trovavano nell'alta valle dell'Aniene e davano luogo a due piccoli laghi, presso il Monte di Ripoli, all'altezza del XXXVIII miglio della via Sublacensis, tra Marano Equo e à€rsoli o, più esattamente, a 300 passi da un diverticolo di quella strada sulla sinistra, in prossimità  delle Sorgenti dell'Acqua Marcia. Oggi esse vengono comunemente identificate con il gruppo delle Sorgenti Serene (in particolare, la prima e la seconda) e con il laghetto di Santa Lucia, che si trovano lungo la moderna via Sublacense. L'acquedotto si poteva però giovare anche di allacciamenti con altre sorgenti, quali la"Albudina" (Fons Albudinus), captate al tempo di Augusto e oggi dette delle Rosoline, e della possibilità  di effettuare scambi con lo stesso Acquedotto della Marcia, in modo che la portata dell'uno e dell'altro fosse regolata a seconda delle necessità .

Il percorso della Claudia era lungo 45 miglia in canale sotterraneo e su strutture sopra terra. Di questi ultimi poi, km 4,5 (3076 passi) erano di ponti, nel tratto superiore, mentre 10,5 (7095 passi) erano di sostruzioni e arcuazioni. La portata giornaliera era di 4607 quinarie (pari a mc 191.190 e 2211 litri al secondo), delle quali tuttavia, dopo le erogazioni intermedie e le intercettazioni abusive, solo 3312 giungevano alla piscina limaria , dove peraltro l'acqua si mescolava a quella dell' Anio Novus. L'Acquedotto Claudio iniziava seguendo sulla destra la valle dell' Aniene mantenendosi alto e tagliando con tratti rettilinei le curve delle pendici collinari. Alla chiusa di San Cosimato, mentre un ramo (o una derivazione) proseguiva sulla destra, passava con un ponte sulla riva sinistra affiancandosi agli altri acquedotti che passavano da quelle parti (Anio Novus, Marcia e, dopo Vicovaro, Anio Vetus). Proprio sotto Vicovaro si ricongiungeva con la derivazione e, sempre lungo la riva sinistra dell'Aniene, proseguiva fino a Tivoli scavalcando vari piccoli affluenti con ponti ancora in parte conservati nella struttura originaria in opera quadrata di tufo e con i restauri d'età  flavia, adrianea e severiana: da sottolineare, prima di Castel Madama, il ponte sul Fosso della Noce, a due ordini sovrapposti di arcate, lungo 135 metri.

Dopo aver aggirato con un'ampia curva il Monte Sant'Angelo in Arcese e toccata Tivoli, l'acquedotto si dirigeva a sud verso la via Praenestina e attraversava le valli profonde tra San Gregorio e Gallicano su altissimi ponti gettati sui Fossi dell'Acqua Raminga, della Mola di San Gregorio, di Caipoli e Collafri. Superata (insieme all'Anio Novus) la tagliata della strada a Santa Maria di Cavamonte, piegava a ovest verso la via Latina e i Colli Albani.Attraversava quindi altre valli con una nuova serie di ponti sul Fosso dell'Acqua Nera, a nove arcate, delle quali la centrale a due ordini (sempre nella caratteristica opera laterizia del tempo di Settimio Severo), e il ponte sul Fosso di Biserano, a una sola arcata, in opera quadrata di tufo su nucleo cementizio; e con "viadotti" come quello, lungo circa 80 metri, sul Fosso della Pallavicina, presso il laghetto di Monno, e quelli sui Fossi delle Marmorelle, di Casale Mattia, di Prata Porci. A1 VII miglio della via Latina nell'odierna località  delle Capannelle, l'acquedotto della Claudia usciva all'aperto e passava nella grande piscina limaria, oltre la quale s'innalzava progressivamente al di sopra del piano di campagna appoggiandosi prima, per poco più di m 900 (609 passi), su una substructio a muro pieno in blocchi di peperino, poi, per poco più di 9 chilometri e mezzo (6491 passi), fino alla Porta Maggiore, su arcuazioni (opus arcuatum) via via sempre più alte: si tratta degli archi universalmente celebri che da duemila anni caratterizzano il paesaggio della Campagna romana, immediatamente a sud di Roma. Le arcuazioni (sulle quali fu appoggiato pressochà © contemporaneamente, anche lo speco dell'Anio Novus) sono costruite in opera quadrata di peperino e tufo rosso, con i blocchi di chiave in travertino. I piloni misurano m 3,35 sulla fronte per 3,10 di profondità  e distano tra loro circa 5 metri e mezzo. Gli archi, che s'impostano su di essi con un leggero arretramento, hanno una luce intorno ai 6 metri. Quanto all'altezza, al Casale di Roma Vecchia, dove si trova i1 tratto conservato piu lungo (di km 1,5), essa è di m 17. Poco oltre, presso l' Osteria del Tavolato, nella depressione del Quadraro, le arcate, sostenute da pilastri di notevole slancio e straordinaria suggestione, raggiungono invece un'altezza massima di m 27,40. Per tutto il tratto restante, fino a Roma, l'altezza media si mantiene tra i 17 e i 22 metri.

Nei punti in cui l'acquedotto è interrotto per i crolli, si vedono assai bene in sezione i due canali sovrapposti: quello dell'Acqua Claudia sta subito sopra gli archi, è realizzato, come quelli, in opera quadrata ed è distinto sulla fiancata da tre linee di blocchi sovrapposti in orizzontale, mentre al di sopra e al di sotto (come già  nell'Acquedotto della Marcia) aggettano lievemente le lastre di copertura e quelle di base. Il canale dell'Anio Novus si trova sopra quello della Claudia e se ne differenzia perchà © costruito in opera reticolata e laterizi. Entrambi i canali misurano all'interno m 1,14 di larghezza per 1,75 di altezza. Durante tutta l'età  imperiale l'Acquedotto Claudio fu più volte vanamente interessato da interventi di restauro e soprattutto di consolidamento, a partire dal tempo di Vespasiano, che nel 71 d.C. lo ripristinò dopo che era rimasto interrotto per una decina d'anni. In mancanza di documenti scritti, gli ulteriori interventi di consolidamento (dopo quello di Tito, dell'anno 81) si riconoscono per le diverse tecniche murarie sovrapposte alla struttura originaria in opera quadrata di tufo e travertino con rinfianchi in opera reticolata. In successione cronologica appaiono così l"'opera listata" del periodo flavio, l'opera mista del tempo di Traiano e di Adriano, l'opera laterizia dell' età  severiana e quella"vittata" del periodo tardo-imperiale, fino ai rozzi "rattoppi" d'epoca medievale. In linea di massima, i1 consolidamento degli archi, ove fu necessario, venne realizzato con l'aggiunta di anelli o "sottarchi" interni, in opera laterizia e in qualche caso con il completo "accecamento" delle luci; il consolidamento dei pilastri fu invece realizzato, per lo più al tempo de Severi e in quello di Diocleziano o di Massenzio, con "fasciature" in laterizio e opera listata. Nel 399, Arcadio e Onorio promossero opere di protezione delle sorgenti dagli straripamenti dell'Aniene. In età  moderna è spesso avvenuto che per riutilizzare i grandi blocchi lapidei squadrati sia stata smantellata la struttura originaria in opera quadrata e lasciata intatta quella dei rinforzi in laterizio cosicchà © all'interno di questi si conservano ora le sole impronte de blocchi asportati (con una documentazione, quindi, "al negativo") talvolta per tutta l'altezza dei pilastri e fino agli archi. Questa sistematica opera di spoglio è particolarmente ben visibile nel tratto di arcuazioni che va da Tor Fiscale a Porta Furba, dove l'acquedotto è attraversato dalla via Tusculana. Oltre questa invece si trova un tratto di ben 1300 metri (per un'altezza di m 19-20) perfettamente conservato, sia nella struttura originaria sia in quella degli interventi di consolidamento e restauro. Notevole in questo stesso tratto e anche lo "spettacolo" creato dall'affiancamento all'Acquedotto Claudio delle arcate dell'Acquedotto Marcio: per circa 300 metri i due imponenti manufatti entrano perfino a contatto, in modo che il centro dei pilastri dell'uno viene a coincidere col centro degli archi dell'altro, mentre le comuni "fasciature" dei restauri finiscono per costituire un'unica colossale muraglia dello spessore d'una decina di metri. Un punto caratteristico di questo tratto è quello di Tor Fiscale, con la trecentesca torre che s'innalza per una trentina di metri proprio al di sopra dei due acquedotti.