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La storia di un'impresa raccontata dal Vasari
La trappola artistica del Bramante
L'incarico per la decorazione della Cappella Sistina giunse a Michelangelo Buonarroti da Giulio II nel 1508, mentre l'artista era ancora impegnato nella realizzazione del monumento funebre del pontefice.
Secondo quanto riporta il Vasari nelle sue "Vite", l'idea di affidare a Michelangelo l'affresco della Cappella Sistina fu suggerita al papa dal Bramante.
Il resoconto del Vasari è piuttosto esplicito riguardo i motivi che indussero il Bramante ad indicare Michelangelo quale miglior pittore per la Cappella di Sisto:
".e lo persuasono a far che nel ritorno di Michelagnolo Sua Santità, per memoria di Sisto suo zio, gli dovessi far dipingere la volta della Cappella che egli aveva fatta in palazzo; et in questo modo pareva a Bramante et altri emuli di Michelangelo di ritrarlo dalla scoltura, ove lo vedeva perfetto, e metterlo in disperazione, pensando, col farlo dipingere, che dovessi fare, per non avere sperimentato ne' colori a fresco, opera men lodata, e che dovessi riuscire da meno che Raffaello: e caso pure che e' riuscissi il farlo, el facessi sdegnare per ogni modo col Papa, dove ne avessi a seguire, o nell'un modo o nell'altro, l'intento loro di levarselo dinanzi."
Bramante era legato a Raffaello Sanzio da vincoli di parentela e di amicizia. La "trappola artistica" ideata dal Bramante, avrebbe dovuto favorire il suo protetto, facendo precipitare il consenso di cui godeva Michelangelo presso la corte papale.
Costringere il genio a misurarsi sul piano dell'affresco, una tecnica che egli non padroneggia al pari della scultura, aveva per il Bramante un duplice scopo. Innanzi tutto, le probabilità che Michelangelo riuscisse in una tale impresa erano pressoché nulle. Ma anche nella lontana ipotesi in cui fosse riuscito, il risultato sarebbe stato in ogni caso deludente, allontanandolo dai favori di cui l'artista godeva presso Giulio II.
Bramante era certo che l'affresco della Cappella Sistina non sarebbe stato in grado di competere con gli affreschi del suo favorito. Nello stesso periodo infatti, il giovane di Urbino era impegnato nella realizzazione della Scuola di Atene, lavorando soltanto a poche centinaia di metri dal luogo in cui Michelangelo stava mettendo in gioco tutto se stesso.
Tutto si può affermare, tranne che Michelangelo non fosse consapevole dell'estrema difficoltà dell'impresa cui sarebbe andato incontro accettando l'incarico e delle insidie che essa celava.
Una volta tornato a Roma, Michelangelo fu immediatamente convocato da Giulio II, il quale gli chiese di realizzare il grandioso affresco che impreziosisse la volta, un lavoro dedicato alla memoria di suo zio Sisto.
Michelangelo, di fronte alle pressanti richieste del papa, oppose numerosi rifiuti. Dichiarò dapprima la volontà di portare a termine il monumento sepolcrale cui stava lavorando, poi la scarsa pratica con la pittura a fresco e con i colori, finendo per indicare in Raffaello la persona più idonea per un lavoro così importante e difficile.
Ad ogni rifiuto di Michelangelo, aumentava il desiderio di Giulio II che fosse proprio lui ad affrescare la Cappella Sistina, stimolato sia dai detrattori dell'artista, sia dal Bramante, desideroso di vederlo cimentato in un'impresa apparentemente superiore alle sue forze. Stando a quanto riporta il Vasari, Michelangelo con i suoi dinieghi giunse fino al punto di spingere il papa verso la collera.
Quando Michelangelo capì che un suo rifiuto non sarebbe stato tollerato oltre, si decise ad accettare.
La "prima volta" di Michelangelo
I lavori preliminari per la costruzione dell'impalcatura che avrebbe dovuto servire da sostegno per lavorare comodamente a ridosso della volta furono eseguiti dal Bramante stesso. Non appena Michelangelo comprese il progetto che il Bramante aveva in mente per il palco, una serie di tavole sorrette da canapi fissati al soffitto tramite enormi buchi, chiamò il Bramante, chiedendogli esplicitamente come avrebbe poi potuto ricoprire i buchi una volta terminato l'affresco. La risposta del Bramante lasciò l'artista letteralmente di stucco, poiché suggerì di pensarci a lavoro finito.
Michelangelo trasse le sue conclusioni:
"Conobbe Michelangelo che o Bramante in questo valeva poco, o che e' gl'era poco amico."
Michelangelo adottò invece un sistema da lui ideato, costruendosi da solo l'impalcatura, una semplice piattaforma in legno sorretta da sostegni e fissata al muro tramite fori posti nella parte alta, accanto alle finestre.
Venne così il momento di preparare i cartoni con i disegni per la volta. Ultimati i cartoni mandò a chiamare alcuni pittori di sua fiducia che in quel momento si trovavano a lavorare a Firenze. Non appena ebbero dipinto alcuni soggetti per pura dimostrazione, trovò il loro lavoro non all'altezza, e scaraventando in terra ogni cosa si chiuse da solo all'interno della Cappella Sistina.
Quando i suoi collaboratori si accorsero che non era loro consentito l'accesso, credettero sulle prime ad una burla. Ma la cosa andò avanti per giorni e giorni. Michelangelo non solo non li lasciava avvicinare all'affresco, ma si faceva negare persino presso la propria abitazione. Gli aiutanti, pieni di rammarico, furono costretti a tornare a Firenze.
Non solo agli aiuti fu fatto divieto di accedere alla cappella, ma nessun visitatore fu ammesso, si trattasse anche del papa committente. La segretezza suscitava curiosità, e il papa era il più curioso di tutti.
Più e più volte Giulio II chiese a Michelangelo di condurlo a visionare il lavoro, ma senza successo. Le richieste però si fecero sempre più pressanti, poiché il papa, di natura irrequieta e poco incline alla pazienza, non era certo tipo da poter essere contraddetto a lungo.
Quando finalmente riuscì a convincere l'artista a mostrare il lavoro svolto fino a quel punto non solo a lui, ma anche al folto pubblico al seguito, il risultato sembrò talmente sbalorditivo da impressionare tutti i presenti. Nessuno escluso:
"Dove Raffaello da Urbino, che era molto eccellente in imitare, vistola, mutò subito maniera, e fece a un tratto, per mostrare la virtù sua, i Profeti e le Sibille dell'opera della Pace."
Il Bramante, stupito dal risultato, tenta ugualmente di scalzare il rivale del suo favorito, proponendo, questa volta direttamente, Raffaello per affrescare la seconda metà della volta della Cappella Sistina. Michelangelo essendo venuto a conoscenza del proposito di Bramante, rivelò a Giulio II alcuni particolari scabrosi della vita dell'architetto e alcuni difetti delle opere da lui realizzate in San Pietro, difetti che in seguito Michelangelo sarà effettivamente chiamato a correggere.
Ma il papa non cambiò mai idea a tale proposito, anzi, la stima e la convinzione che fosse l'uomo adatto per affrescare un luogo sacro di tale importanza non venne mai scalfita. Il pontefice era fermamente convinto che avrebbe potuto fare ancora di più e meglio.
Nonostante la stima incondizionata, il papa non fu mai indulgente con l'artista, incitandolo spesso a terminare i lavori il più in fretta possibile, costringendolo a turni di lavoro massacranti.
Le condizioni di lavoro inoltre erano oltremodo scomode, dovendo Michelangelo dipingere a testa all'insù, in posizioni davvero al limite.
Fra Giulio II che spingeva affinché Michelangelo completasse al più presto i lavori, anche a scapito della qualità, e l'artista che prendeva tempo per migliorare l'affresco giorno dopo giorno, ebbe la meglio il pontefice.
Le decorazioni della Cappella Sistina vennero scoperte, e il palco smontato per la mattina di Ognissanti, venti mesi dopo l'inizio dei lavori, con il papa che si recò a cantare la messa nella cappella fra il tripudio generale.
Il giudizio finale del Vasari riguardo l'opera di Michelangelo, è netto:
"Questa opera è stata et è veramente la lucerna dell'arte nostra, che ha fatto tanto giovamento e lume all'arte della pittura, che à bastato a illuminare il mondo, per tante centinaia d'anni in tenebre stato."
Michelangelo ha raggiunto vette mai toccate prima, è un faro che illumina e che risveglia dal torpore secoli e secoli di pittura.
Nei passi successivi Vasari disillude chiunque voglia tentare di superarlo nell'arte di raffigurare il "vero", poiché più in là di Michelangelo non si può andare. Al Vasari i personaggi raffigurati appaiono perfetti sotto ogni punto di vista, nelle espressioni, nelle vesti, ma soprattutto nell'effetto generale che suscita quella "terribilità", sentimento principale che si ricava dalla visione d'insieme della materia trattata.
Colpiscono inoltre i nudi di Michelangelo, le proporzioni delle figure, la grazia e l'agilità del tratto, un tratto talmente sicuro che spinge l'artista a popolare l'affresco di personaggi di ogni età, quasi a voler mostrare la perfezione raggiunta nell'arte in ogni sua forma.
Nell'affresco vi sono infatti corpi di ogni sorta, membra di ogni grandezza e con ogni possibile varietà di lineamenti, enorme fantasia ed originalità nelle posture.
Sembrò che ogni tipo d'uomo presente sulla terra fosse rappresentato in quella volta della Cappella Sistina.
La Cappella Sistina vista dal Vasari
Per mostrare la grandezza di Dio, Michelangelo nelle sue storie lo ritrasse nell'atto di dividere la luce dalle tenebre, poi ancora durante la creazione del Sole e della Luna e mentre divide l'acqua dalla terra.
Uno dei riquadri che colpisce maggiormente l'attenzione del Vasari è la Creazione di Adamo, dove un gruppo di angeli "ignudi" e di tenera età sostengono Dio, mentre quest'ultimo tende un braccio per infondere la vita alla sua creatura.
L'immagine è maestosa, ma anche molto reale, con il creatore sorretto dagli angeli, mentre con un braccio cinge il collo di alcuni putti affinché possa sporgersi con l'altro braccio, allungare le dita e infondere ad Adamo la vita.
Dall'altra parte della scena si trova Adamo, leggermente discosto da Dio e in posizione totalmente naturale e disinvolta nel ricevere il tocco divino, un giovane di tale bellezza da far ritenere al Vasari che il dipinto possa paragonarsi ad una seconda creazione:
".e con l'altro porge una mano destra a uno Adamo, figurato - di bellezza, attitudini e di dintorni - di qualità che e' par fatto di nuovo dal sommo e primo suo creatore, più tosto che dal pennello e disegno d'uno uomo tale."
Poco sotto si trova la scena in cui si narra della creazione di Eva dalla costola di Adamo, quest'ultimo raffigurato come un uomo spossato e vinto dal sonno, sdraiato al fianco della prima donna, che al contrario è vivificata e piena di energia.
Proseguendo la narrazione è raffigurato l'episodio della perdizione, dove Adamo cede alla tentazione di una figura mezza donna e mezza serpe che gli offre il pomo, con la conseguente cacciata dal paradiso terrestre. Ad un Dio in piena collera fa eco un Adamo consapevole della propria colpa, mortificato per il peccato commesso, atterrito per la paura della morte, mentre Eva appare piena di vergogna, con le braccia ristrette, le mani giunte nell'atto di raccomandarsi all'angelo, più timorosa della punizione che fiduciosa nella bontà divina.
Altro episodio notevole è quello che racconta la storia del Diluvio Universale, dove una moltitudine appare atterrita e in cerca di ogni possibile via di fuga di fronte al disastro, mentre altri uomini sono morti o morenti. Vi è raffigurata l'umanità disperata nel tentativo di salvarsi da quella sciagura, mentre Noè dorme sereno accanto alla sua prole.
A questo punto, racconta il Vasari, quasi Michelangelo avesse preso coscienza della propria maestria, la adopera interamente nel raffigurare le cinque Sibille e i sette Profeti, dipingendo immagini di bellezza miracolosa sia nelle espressioni, sia nei panneggi, per un risultato che brilla per originalità e genialità. Geremia è intento ad accarezzarsi la barba, con le gambe incrociate e il gomito appoggiato sopra un ginocchio, l'altra mano nel grembo, con la testa malinconicamente china, amareggiato e pensieroso per la sorte del suo popolo. Una Sibilla gli accosta un libro quanto più vicino possibile agli occhi, in modo tale da non affaticare la sua stanca vista.
Ezechiele ha movenze che esaltano la sua grazia e la sua bellezza. E' vestito con un'abbondanza di panni e regge in una mano un rotolo di profezie, con dei putti a tenere altri libri e una Sibilla intenta a scrivere.
Segue il profeta Gioele, compiaciuto delle sue letture, mentre Zaccaria, figura particolarmente riuscita, è anche lui intento nelle sue letture, ma alla ricerca di un passo che non trova, ed è tanto profondamente assorto da non provare alcun disagio per la scomoda posizione delle gambe.
Il profeta che colpisce maggiormente il Vasari è Isaia, ritratto mentre è assorto nei suoi pensieri, con una gamba sopra l'altra, un dito fra le pagine a modo di segnalibro e l'altra mano appoggiata alla gota. Chiamato da uno dei putti, volge leggermente la testa, ma senza scomporsi. L'immagine, afferma il Vasari, sembra tolta dalla natura stessa, consegnando alla pittura una figura che da sola potrebbe insegnare interamente l'arte a chi la studiasse a fondo. Al di sopra di Isaia si trova un'anziana ma bella Sibilla, poi ancora Daniele, intento nella lettura e nel trascrivere ciò che legge, talmente affaticato da necessitare dell'aiuto di un putto che ha fra le gambe e che lo sorregge.
Altra opera massima che rivela appieno l'ingegno di Michelangelo sono i quattro episodi contenuti nei peducci della volta, fra le quali si distingue per bellezza e finezza quella dedicata alla storia delle Serpi di Mosè, poco sopra il lato sinistro dell'altare.
Tanta bellezza fa esclamare al Vasari meritatissime lodi nei confronti di cotanto artefice, autore di una creazione che più volte paragona alla creazione divina, quasi la mano che dipinse tale meraviglia e quella che diede inizio all'intero universo, fosse la stessa. La presenza di Michelangelo fu certamente una benedizione per i suoi contemporanei, un personaggio in grado di far fare in un colpo un enorme balzo in avanti alla pittura, tale da rendere luminoso un territorio che sembrava avvolto dalle tenebre.
Tale miracolo artistico stupì il mondo intero e il papa stesso, che ogni giorno di più apprezzava le doti di Michelangelo, al punto di elevarlo a suo favorito in assoluto e ricoprirlo di gloria, onori e soprattutto denaro.
Il Giudizio Universale e una condanna particolare
Circa una ventina di anni più tardi rispetto il primo lavoro di Michelangelo alla Cappella Sistina, papa Paolo III Farnese diede l'incarico all'artista di proseguire i disegni preparatori che il suo predecessore gli aveva commissionato per il completamento della decorazione della stessa cappella. Quei cartoni contenevano i disegni preparatori del Giudizio Universale.
Il Giudizio Universale dipinto nella volta della Cappella Sistina, a giudizio del Vasari, è non solo superiore a qualsiasi altro dipinto dei suoi contemporanei, ma è anche superiore al precedente lavoro di Michelangelo. L'artista è riuscito nella difficilissima impresa di superare se stesso, unico termine di paragone possibile per un genio di tale calibro.
La grandiosa composizione raffigura il giorno del giudizio dominato dalla severità di Cristo, che seduto al centro della scena con volto cupo e austero si rivolge ai dannati maledicendoli, con la Vergine Maria ristretta nel suo manto, quasi intimorita e pietosa per la loro sorte. Numerose figure sono disposte intorno al Cristo, come i Profeti, gli Apostoli, Adamo e San Pietro, l'uno origine del genere umano, l'altro fondamento della religione e della cristianità.
Vi sono inoltre San Bartolomeo con la pelle scorticata, San Lorenzo e un numero davvero sterminato di santi e sante, figure maschili e femminili, le quali, contrariamente ai dannati, danzano e fanno festa inondati dalla grazia divina.
Ai piedi del Cristo si trovano sette angeli dotati di trombe che fanno risuonare il temibile giudizio, due angeli con i libri delle vite in mano, e i Sette Peccati Capitali che trascinano all'inferno i dannati.
In basso è raffigurato Caronte, intento a traghettare i dannati tirati giù dai diavoli, e batterli con il remo, nello stesso modo in cui lo rappresentò Dante nella Divina Commedia.
Ciò che colpisce il Vasari, oltre la straordinaria bellezza dell'opera presa in ogni sua singola parte, è la complessità dell'impianto, concepito in modo tale da far percepire il peccato al peccatore e le conseguenze della dannazione eterna, mostrando una moltitudine di figure e una composizione che sottolinea la "terribilità" della scena.
L'affresco contiene ogni possibile sfumatura di espressioni e di sentimenti umani, sia quelli che salvano il genere umano, sia quelli che lo dannano, come l'avarizia, la lussuria, l'ira, la superbia. Il dipinto è una vera e propria enciclopedia dell'umano, una summa tanto terribile quanto realistica dell'immaginario cristiano e letterario dell'epoca.
La moltitudine di figure e personaggi contenuti nell'affresco, mantiene però un carattere straordinariamente unitario:
"Et oltra a ogni bellezza straordinaria è il vedere tanta opera sì unitamente dipinta e condotta, che ella pare fatta in un giorno."
La grandiosità dell'opera è tale che colpisce allo stesso modo sia le persone che nulla sanno dell'arte, sia i maestri, con tratti di pennello che sembrano scolpire le figure come se fossero in rilievo, con espressioni, posture e membra che non potrebbero essere state dipinte da mano che da quella di Michelangelo.
Nel suo Giudizio Universale Michelangelo ha voluto raffigurare il corpo e l'animo umano, ritraendo sia la carne, sia lo spirito in ogni sua possibile declinazione.
Ma il primo impatto con l'opera da parte dei suoi committenti, non fu molto lusinghiero per il Buonarroti.
Quando l'opera di Michelangelo era oramai quasi finita, papa Paolo III si trovò nella Cappella Sistina con Biagio da Cesena, suo maestro di cerimonie. Quando il papa chiese a quest'ultimo un parere sull'affresco, rispose che era semplicemente scandaloso che in un luogo tanto sacro fossero esposti così tanti corpi "ignudi" a far mostra delle loro vergogne. Secondo il religioso il dipinto non era affatto idoneo ad affrescare una cappella papale, quanto piuttosto un'osteria.
Ne seguì una celebre campagna di censura, condotta dal cardinale Carafà contro Michelangelo, colui che aveva osato portare tanta sconcezza nella principale chiesa della cristianità.
Michelangelo rimase turbato dalle accuse, ma reagì da par suo. Raffigurò il bigotto Biagio da Cesena nei panni di Minosse, il giudice infernale, con una serpe avvinghiata ad una gamba e circondato da un gran numero di diavoli. Quando il maestro di cerimonie chiese a Paolo III che il suo ritratto venisse rimosso, secondo la tradizione il papa rispose che l'inferno era fuori della sua giurisdizione.
In concomitanza con la morte di Michelangelo venne emessa un'ordinanza che imponeva la copertura delle parti intime delle figure dipinte dall'artista.
Dello sgradevole compito fu incaricato un suo allievo, tale Daniele da Volterra, il quale da allora è noto anche con il soprannome di "Braghettone".