Il Borromini, un barocco a Roma

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Il Borromini, un barocco a Roma

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Borromini e Bernini, una vita "contro"
Una delle esperienze che più di ogni altra segnerà la vita artistica (ma non solo) di Francesco Borromini, è l'incontro e lo scontro con la personalità del suo acerrimo rivale, Gian Lorenzo Bernini. Quanto ricco, famoso e ben introdotto nell'ambiente culturale romano era quest'ultimo, tanto giovane, inesperto e di umili origini era il Borromini.
Abbandona Milano e il proprio padre alla tenera età di quindici anni, per recarsi a Roma presso alcuni parenti, fra i quali il Maderno, dedicandosi all'attività di scalpellino, attività che costituirà per lui un lungo e proficuo tirocinio.
L'incontro fra i due artisti avviene nel 1630, in occasione dei lavori necessari per il completamento del Baldacchino di S. Pietro. La questione ancora in sospeso è quella che riguarda il coronamento della parte superiore, fase in cui l'intervento del Borromini è determinante.
La realizzazione di quello che può essere considerato il manifesto dell'arte barocca, frutto della convergenza ideale dei due artisti, sarà anche e soprattutto motivo di insanabile contrasto. Il monumento reca la sola firma del Bernini, così come a lui andrà la massima parte del compenso, lasciando al Borromini niente altro che pochi spiccioli. L'episodio è descritto nella biografia borrominiana del Balducci.
Secondo quanto narrato, il Bernini, valentissimo scultore, ma ancora incerto architetto, avrebbe chiesto al Borromini di seguirlo nell'impresa, dietro la promessa di un lauto compenso. Il Bernini si sarebbe occupato delle sculture, mentre al Borromini spettavano tutte le fatiche inerenti il lavoro di architettura. Alla fine del lavoro, compensi e guadagni rimasero al Bernini, mentre al Borromini non andarono che promesse e belle parole. Deluso e deriso il Borromini ebbe ad esclamare:

'Non mi dispiace che abbia hauto li denarii, ma mi dispiace che gode l'onor delle mie fatiche'

Secondo quanto riportato, non solo dal Balducci, il più celebrato artista, molto più fortunato, ricco e potente, accortosi dell'eccezionale talento del suo aiutante, ne temeva la concorrenza e l'ascesa. Da qui i continui tentativi di ostacolarne la carriera e di sfruttarne, quasi gratuitamente, le eccezionali capacità tecniche, tenendolo legato con vane promesse.
La rivalità artistica fra i due personaggi si protrarrà fino alla morte del Borromini, fra vittorie, sconfitte ed umiliazioni continue, in un'alternanza di gioie e dolori che ne mineranno irrimediabilmente la salute fisica e mentale.

San Carlino, la fabbrica del talento
Il Borromini non si lasciò lusingare a lungo dalle promesse del Bernini. Si distaccò ben presto dall'ombra dell'incontrastato dominatore dell'ambiente culturale del tempo, trovando il coraggio e la forza di contrapporsi a cotanto rivale.
Il primo lavoro che ottenne fu la costruzione della chiesa e del convento di San Carlino alle Quattro Fontane, opera prima e suo primo capolavoro. Già in questa fase è evidente con grande chiarezza la sua visione architettonica. L'organismo composto dagli ambienti della chiesa e del convento, si rivelano la realizzazione di un programma psicologico che si distingue per la semplicità funzionale delle parti destinate alla vita quotidiana della piccola comunità, e la chiesa, che d'un tratto trasporta il visitatore in un elevato universo di sentimenti e aspirazioni.
Uno degli elementi più caratteristici dell'architettura del Borromini è proprio la ferrea convinzione che l'architettura possa essere un potente mezzo attraverso il quale indirizzare un'esperienza di contemplazione che colpisca contemporaneamente ragione e sentimento.
Le soluzioni architettoniche adottate dal Borromini nella realizzazione della chiesa di San Carlino, lo posero immediatamente al centro dell'attenzione. I disegni che servirono per la preparazione furono richiestissimi dagli addetti ai lavori di ogni nazione, così come racconta frate Giovanni da S. Bonaventura:

'Questo testificano le diverse nationi, che continuamente come arrivano a Roma sollecitano haver il suo disegno: spesse volte siamo solicitati per aver questo effetto di Alemanni, Flamenchi, Francesi, Italiani, Spagnoli et anco li Indiani, che dariano qualsivoglia interesse per haver il disegno di questa chiesa, la quale come la vedono, appetiscono più il averlo, che quando sentivano lodarla nelli loro paesi'

Dalla stessa relazione si traggono inoltre importanti notizie circa il modo di interpretare il suo compito. Secondo i suoi detrattori, le fabbriche del Borromini erano si belle, ma anche assai dispendiose. L'intenzione degli avversari era chiaramente quella di riconoscere il valore delle realizzazioni dell'architetto, ma di attribuirne il merito soprattutto alle ingenti somme spese in manovalanza e materiali. Questa convinzione è però confutata dai committenti stessi, i quali riconoscono al Borromini non solo una grande economicità di spesa generale, ma anche una sapiente gestione quotidiana di tempi e costi di lavorazione, ottenuta occupandosi fin degli aspetti più infimi della fabbrica, dando indicazioni al muratore, allo stuccatore e al falegname.
L'approvazione per il lavoro del Borromini non sarà mai univoca, totale e plebiscitaria. La sua concezione spaziale, le sue forme, le sue convinzioni saranno sempre guardate con sospetto e malizia da parte dei suoi più agguerriti avversari.

San Giovanni in Laterano, la fantasia imbrigliata
Il restauro della Basilica di San Giovanni in Laterano è senza ombra di dubbio il lavoro più importante che sia capitato in carriera a Francesco Borromini. Al tempo stesso fu anche il più difficoltoso, poiché sottoposto a continue limiti da parte di papa Innocenzo X.
Nell'ambito della cristianità il clima è cambiato, la tendenza è ora quella di conservare il più possibile ciò che può essere conservato, lo spirito delle origini del cristianesimo deve essere preservato, così come pure i suoi simboli.
Avviene così che alle forti imposizioni iniziali ne seguirono altre ancora più forti. Così descrive la vicenda frate Giovanni da S. Bonaventura:

'Et stante, che in Roma si trovavano così numerosi et valentissimi Architetti, fu eletto dal Papa Sig. Francesco per Architetto di fabbrica e gli fu dato breve particolare di essere Architetto della Chiesa di S. Giovanni Laterano, et in virtù di esso ha reedificato et restaurato detta chiesa con li lavori et struttura di stucho et marmoli, che in essa si vedono; fabbrica, che à dato grande satisfattione al Papa et generalmente à tutti; se bene in essa Sig. Francesco non ha mostrato la Valentia del suo ingenio, perché fu costrettola nro Sig., a osservare la forma antica della Chiesa, ne anco permesse, si facesse la volta, ma volse che restasse il soffitto anticho'

La portata dell'opera di Borromini nella fabbrica della chiesa paleocristiana di San Giovanni in Laterano, non può essere quindi compreso senza tenere conto della rinuncia ad un programma di totale rifacimento, seguita dalla rinuncia ancora più grave di costruire la volta della navata, lasciando praticamente intatto il soffitto cinquecentesco a tagliare di netto l'organismo sottostante, che avrebbe invece dovuto concludersi naturalmente con la volta.
La mano dell'architetto va ricercata quindi altrove, piuttosto che nel disegno complessivo, nelle splendide navatelle, nella costruzione delle quali il Borromini risolve il problema dell'interpretazione prospettica dello spazio indefinito della basilica paleocristiana, addizionando unità spaziali autosufficienti, disposte secondo un ritmo alternato e di entità misurabile.
Durante il pontificato successivo, quello di Alessandro VII, al Borromini fu affidato il riordino del materiale antico riesumato durante il restauro. Tombe e frammenti vennero utilizzate ed esposte sottoforma di arcaiche citazioni, inserite in edicole scavate nel muro, sperimentando soluzioni e configurazioni sempre nuove, trovando il modo di arricchire di significati anche un incarico all'apparenza così poco gratificante.
La visione architettonica e artistica del Borromini era talmente penetrante da risultare adattabile a qualsiasi circostanza e in grado di agire su qualsiasi scala, fosse anche la sistemazione di singoli elementi.

Sant'Agnese in Agone, la caduta.
Sempre per conto del papa Innocenzo X il Borromini realizza la trasformazione del vecchio impianto dato alla Chiesa di Sant'Agnese dall'architetto Rainaldi. La trasformazione non avviene tanto all'interno, dove accetta le soluzioni precedenti aggiungendo solamente poche varianti, quanto nell'impianto esterno, dove ripropone nella facciata il tema della concavità, già da lui sperimentato nella casa dei Filippini.
L'enorme scavo semiovale restituisce il piano della facciata quasi subito sul piano della cupola, evidenziando quanto più possibile l'ardimento statico della composizione.
La facciata, così concepita, rispecchia pienamente lo sviluppo longitudinale dello spazio di piazza Navona, consentendo una felice lettura complessiva dell'organismo urbanistico.
Quando l'ascesa del Borromini sembrava oramai inarrestabile, un evento inatteso funesta i sogni di grandezza dell'architetto. Dopo una lunga serie di contrasti con il principe Camillo Pamphli, e in seguito alla morte di papa Innocenzo X, l'architetto viene inopinatamente allontanato dalla direzione della fabbrica di Sant'Agnese.
Crolla di schianto la possibilità per il Borromini di imprimere definitivamente il suo marchio a piazza Navona, divenuta nuovamente il centro vitale dell'antico nucleo urbano, crollando al contempo ogni possibilità di realizzare definitivamente la sua immagine pubblica.
Il suo progetto originario è stravolto, viene eliminato il rivestimento in travertino della cupola, abbassata la lanterna, della quale aveva già pronto un modellino in legno. Carlo Rainaldi, destituito quale direttore all'epoca di Innocenzo X, torna in sella, ridisegnando la lanterna in modo assolutamente convenzionale, mentre il disegno delle volte e dell'ornato spetta all'acerrimo rivale, il Bernini.
Il Borromini reagirà rifiutando di recarsi al cantiere, facendosi vedere spesso in piazza Navona, ma negando qualsiasi possibilità di collaborazione, qualsiasi compromesso.
Un duro colpo per l'autostima dell'architetto. E non solo.

Il potere della luce
Risale al 1646 la commissione per la realizzazione della facciata del Collegio di Propaganda Fide e della Cappella dei Re Magi. Per avviare i lavori, è necessario però abbattere completamente la chiesetta ovale preesistente, opera dell'odiato Bernini. Con enorme soddisfazione sarà egli stesso a raderla al suolo, tirando i colpi proprio dirimpetto all'abitazione del suo grande rivale.
Nella realizzazione del collegio, così come per la cappella, il Borromini porta a compimento soluzioni che danno ampia preminenza alla spazialità della luce, annullando quasi completamente la parete, in favore di grandi finestrature e dei varchi che danno l'accesso alla cappella. Il flusso luminoso che ne deriva è filtrato attraverso un corridoio, riempiendo con grande intensità la parte alta della Cappella dei Re Magi da ogni lato. Quella che appare è la vittoria della luce nei confronti della massa muraria, arrivando quasi ad annullare totalmente la differenza fra l'esterno e l'interno della struttura. L'architettura deve molto al lavoro del Borromini anche dal punto di vista della ricerca sulla luce, intesa non come intreccio spettacolare, quanto come saldo elemento del linguaggio architettonico.
Nel collegio della Propaganda Fide, Borromini affronta una tematica che sarà sviluppata pienamente nel barocco dell'Europa centro-orientale, in cui la luce è pronta ad inondare senza barriere organismi semitrasparenti e multipolari.

Gli ultimi lavori, la fine tragica
Negli ultimissimi giorni della sua vita Francesco Borromini lavorò alla Cappella di S. Giovanni dei Fiorentini, alla cappella e alla Villa dei Falconieri, alla costruzione della facciata di S. Carlino.
In questa fase della sua vicenda artistica il Borromini compie un percorso a ritroso, tornando a rivisitare i motivi delle origini. La Cappella di S. Giovanni dei Fiorentini è un omaggio al Maderno, mentre la piccola facciata del convento verso via delle Quattro Fontane segna un ritorno alla semplicità compositiva giovanile. Ma ognuno di questi lavori è pur sempre testimonianza della battaglia culturale combattuta in tutta una vita, senza risparmio di energia alcuna.
Lo spazio avvolgente che caratterizza la facciata, svincola completamente l'architettura da ogni legame con i rapporti volumetrici, secondo la concezione tipica della tradizione rinascimentale, aprendo il campo ad una nuova prospettiva, l'esaltazione della continuità.
Anni di lotte solitarie, drammi personali e sconfitte "artistiche", ne segneranno irrimediabilmente la psiche, precipitandolo nello sconforto più nero della malattia e dell'ipocondria. Durante uno dei suoi tanti accessi di rabbia, per motivi del tutto futili, Francesco Borromini porrà termine ai suoi giorni gettandosi di petto contro la propria spada.
Si chiude così l'esperienza artistica di uno fra i più complessi e tormentati interpreti dell'architettura della sua epoca, un'epoca segnata dalla sua opera ben oltre le superficiali apparenze.
La presenza di Borromini a Roma è stata spesso paragonata a quella di personaggi scomodi, guardati con sospetto da tutta una fazione, quella che detiene il potere e dirige in un senso o nell'altro il clima culturale. A proposito di Borromini il Bernini ebbe a dire che sarebbe stato preferibile avere "Un cattivo cattolico piuttosto che un buon eretico".
I suoi detrattori cercarono in tutti i modi di cancellare ogni traccia dell'eredità lasciata dall'"eretico", tornando rapidamente a celebrare la tradizione, l'ortodossia e la conservazione. Fortunatamente il suo amore per la città di Roma, il suo estro e la sua generosità creativa incisero così profondamente il tessuto urbano della città, in modo tale che il segno del suo passaggio non poté mai essere ignorato, ben al di là delle sue aspettative.

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