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La scultura realizzata da Gian Lorenzo Bernini nel 1622, raffigurante Apollo e Dafne, è forse quella che meglio di qualunque altra si presta a sintetizzare l'eleganza, il ritmo compositivo, il movimento e il valore lirico del suo talento. I due personaggi rivivono la scena dell'inseguimento di Apollo, della disperazione della ninfa, il suo urlo, gridato nello stesso istante in cui si trasforma in alloro. Il dio della bellezza riesce appena a toccare il fianco della fanciulla, la quale, in fuga, si solleva in uno slancio, mentre il suo corpo si fa corteccia e le sue membra diventano fronde di alloro.
Con questo gruppo scultoreo il Bernini supera definitivamente il manierismo della vecchia generazione, imprimendo alla materia una qualità espressiva senza precedenti. La trasformazione di Dafne è un vero e proprio capolavoro.
La ninfa si volge indietro, è atterrita dalla foga del suo inseguitore e dal tocco della mano che oramai la cinge, ma trova l'estrema salvezza nella metamorfosi, mentre Apollo, nel momento in cui è sicuro che la preda non potrà più sfuggirgli, resta sgomento accorgendosi della vanità dei suoi sforzi.
La sottigliezza psicologica espressa dai personaggi ritratti dal Bernini è un elemento del tutto sconosciuto a tutta la scultura precedente, raggiungendo la massima efficacia nelle sue opere più mature. Mirabili sono le espressioni dei due volti, con l'Apollo stupito di fronte ad un evento inatteso ed imprevedibile che mortifica le sue aspirazioni, mentre Dafne, straziata dall'idea di un'imminente cattura, vi sfugge grazie alla mutazione delle sue membra in fronde. In questa fase, l'eleganza del moto dei due corpi paralleli che si sollevano fluttuanti in aria, le ciocche di capelli della ninfa che librandosi si tramutano in foglie e rami di alloro liberandosi nello spazio, raggiunge vette assolutamente irripetibili.
Ogni dettaglio è curato in modo meticoloso, senza mai sfociare nel virtuosismo, poiché ogni singolo particolare è del tutto funzionale e complementare, contribuendo in modo significativo a dare un senso all'insieme. Il soffio aereo che scompiglia la chioma di Dafne, il moto di ogni dettaglio, il gioco di sguardi, costituiscono cenni e rimandi di grande valore narrativo.
La statua non venne realizzata per privilegiare un singolo punto di vista, secondo i canoni rinascimentali, bensì doveva essere osservata ruotando attorno ad essa, osservandola sotto diverse prospettive, contribuendo a creare una nuova concezione della scultura.
I pochi versi di Ovidio ai quali l'opera si ispira, e che più tardi verranno inseriti nella base, trovano piena realizzazione nella scultura, nell'affermazione del mito ellenistico della trasformazione della materia e del superamento dei suoi limiti.